
Cosa significa “vedere” un colore?
E ancora prima: cosa significa “farlo nascere”?
Il nostro primo pastello è stato un tono di blu. E non per caso.
Abbiamo scelto il blu perché è un colore che sfugge alle parole. Lo abbiamo sempre intuito e la nostra prima tiratura limitata ce lo ha confermato: raccoglie sia la formula chimica del blu oltremare, sia alcuni appunti poetici nati durante il processo creativo.
Abbiamo imparato che esiste un “blu” che precede il linguaggio.
Studi sullo sviluppo percettivo infantile mostrano che i bambini sono in grado di distinguere i colori ben prima di imparare a nominarli. Questo significa che esiste un’esperienza visiva del colore che non ha ancora nome. Un blu senza parola. E forse proprio per questo, tanto più reale, tanto più necessario.


Il laboratorio dei pastelli nasce anche da un’altra esigenza: il desiderio che i colori usati durante La Notte dei Continenti – una pratica storica de Il Pesce d’Oro che unisce segno, musica e colore – fossero finalmente creati da noi. Dopo anni di esercizio percettivo, poetico e corporeo, è nata l’urgenza di dare una materia a quei gesti. Così abbiamo studiato le tecniche di fabbricazione del colore e – insieme alla nostra chimica Sara Barresi – abbiamo dato vita alla nostra prima tiratura limitata.
La celebre Teoria dei colori di Goethe – ci ha insegnato che il colore non è mai soltanto percezione visiva. Per Goethe, ad esempio, l’azzurro – e il blu con lui – è il colore dell’inquietudine, della nostalgia, del pensiero. Un colore che si ritira, che si fa guardare ma non si lascia afferrare.
Questa qualità spirituale del blu non è solo una suggestione poetica: è anche una forma di conoscenza non concettuale, che i filosofi contemporanei continuano ad indagare, pur scontrandosi con i limiti del linguaggio descrittivo.
Ecco perché creare un colore non significa solo mescolare pigmenti: significa anche confrontarsi con le sue relazioni, con il modo in cui richiama altri colori, altri stati dell’animo. Goethe ci insegna che ogni colore ha un carattere, una posizione morale e affettiva. I pittori sanno che, pur opposti, questi colori possono incontrarsi nei bordi dell’immagine, dissolversi l’uno nell’altro, creare sfumature “al confine” che la filosofia stenta a descrivere, ma l’occhio riconosce.
Gli antichi Greci, ad esempio, non avevano una parola per indicarlo. Per descrivere il mare usavano “color del vino” o “biancastro”. Solo molto più tardi, nella storia delle culture, il blu è emerso come categoria stabile. È stato visto, prima ancora di essere detto.
Nel nostro laboratorio il blu si oppone alla banalizzazione del colore come etichetta, perché porta con sé la memoria della sua assenza e della sua conquista.
La nostra prima edizione limitata non è solo un pastello: è un rito. Dentro ci sono dosaggi precisi, pigmenti studiati, ma anche frammenti di linguaggio incompiuto – appunti, versi, poesia. Perché il colore, ci siamo detti, è sempre un incontro: tra natura e cultura, tra occhio e parola, tra il nostro corpo e il mondo.